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Scavi nelle antiche fornaci di Albisola
di Dede Restagno
17 febbraio 1999
reperti ritrovati nel corso degli scavi
Il Civico Museo della Ceramica "Manlio Trucco" di Albisola Superiore, tra le sezioni permanenti che occupano il piano superiore - mentre il pianterreno è riservato alle mostre temporanee - possiede una Sezione Didattica dedicata alla "Produzione ceramica di Albisola dalla fine del XV al XIX secolo". Questa sezione, che occupa il salone principale, si compone attualmente di sedici vetrine.
Ciascuna vetrina o gruppo di due vetrine presenta materiali relativi ad un particolare periodo della produzione ceramica di Albisola.
Di queste sedici vetrine, otto contengono reperti archeologici provenienti da scavi effettuati nelle discariche di antiche fornaci da ceramica da un gruppo di volontari albisolesi diretti dalla sottoscritta, su concessione del Ministero dei Beni Culturali all'Istituto Internazionale di Studi Liguri.
Una nona vetrina contiene altri reperti archeologici ricuperati presso via Salomoni nel 1933 dal pittore Mario Gambetta, donati al museo dalla figlia Mimma.
I reperti più antichi, ricuperati in uno scavo della Soprintendenza Archeologica nel centro storico di Albissola Marina, tra i quali sono già presenti i due filoni della produzione albisolese, le maioliche e le terrecotte ingobbiate, risalgono all'ultimo quarto del XV secolo, data nella quale avrebbe inizio, secondo i dati attualmente in nostro possesso, la produzione ceramica albisolese, mentre quella di Savona ha origini molto più antiche.
Nel Cinquecento le ceramiche di Albisola sono già largamente conosciute e apprezzate; ceramisti albisolesi sono chiamati in varie parti d'Europa, ad esempio a Siviglia, dove decorano con "laggioni", o piastrelle da rivestimento per pavimenti e pareti, edifici pubblici e religiosi.
Vari esemplari di queste piastrelle provengono dalla donazione Gambetta, insieme a pregevoli esempi di piatti in maiolica a smalto berettino di colore blu scuro, che costituiscono il più notevole gruppo oggi conservato in Liguria di questo genere di ceramica tipico del Cinquecento.
Altri "laggioni" qui esposti si presume che provengano da rifacimenti di antiche cappelle della chiesa di San Nicolò di Albisola Superiore.
Uno scavo compiuto sotto il rilevato della vecchia linea ferroviaria in Albissola Marina, ha messo in luce un pavimento in mattoni databile all'inizio del Seicento appartenente ad una casa di via Stefano Grosso demolita nel secolo scorso per far passare la linea ora dismessa.
reperti ritrovati del corso degli scavi
Il pavimento sigillava una piccola discarica, un "butto" omogeneo, che ha fornito dati inediti sulla produzione di maiolica del periodo, ancora quasi totalmente sconosciuto, intercorrente tra la maiolica a smalto berettino e i "laggioni" cinquecenteschi e la grande produzione in monocromia azzurra dell'avanzato Seicento, per la quale Albisola e Savona sono ovunque conosciute: sono maioliche a fondo bianco, o ancora berettino spesso meno intenso di quello dei piatti della donazione Gambetta, decorate con motivi vegetali molto stilizzati, una produzione già iniziata nel Cinquecento, ma che sembrerebbe aver avuto la sua massima diffusione a cavallo tra Cinquecento e Seicento.
Accanto vi sono oggetti decorati in stile compendiario monocromo e policromo, tra i quali una interessante fiasca da pellegrino decorata in azzurro con motivi religiosi.
La fornace Giacchino di Albisola Superiore, la prima ad essere da noi esplorata nel 1983, ha fornito una documentazione molto abbondante sulla produzione, sia di raffinate maioliche in monocromia azzurra con alcuni importanti marchi di fabbrica, tra i quali la "lanterna" dei Grosso e il "pesce" dei Pescio, sia di terrecotte ingobbiate e graffite, tra le quali quelle destinate ai conventi, che sino ad allora si credevano importate da Pisa.
E inoltre ingobbiate monocrome e policrome di uso corrente, terrecotte marmorizzate, vasi, vasetti e pentole e ogni oggetto di uso domestico, e infine le bottiglie con gli anelli attorno al corpo per uso delle navi.
Questo complesso di reperti è databile tra gli ultimi anni del Seicento e il 1710, quando la fornace apparteneva, prima a Carlo Pescio, quindi al genero Carlo Antonio Grosso.
Altra parte della discarica ha restituito quella che allora si chiamava "terraglia nera" e che noi oggi definiamo terracotta a "taches noires", usando un termine coniato dal prefetto napoleonico Chabrol.
Ma quest'ultimo tipo di terraglia nera e a "taches noires", che si ritiene prodotta a partire dal terzo decennio del Settecento e che ebbe una enorme diffusione, anche sul continente americano, ci è stata restituita in grande quantità dal ricupero più recente, quello avvenuto nel corso dei lavori di ristrutturazione della fornace di Pozzo Garitta adibita a sede del Circolo degli Artisti.
Questo materiale, che era unito a maioliche povere e che è databile ai primissimi anni dell'Ottocento, corrisponde perfettamente al gruppo di oggetti che il prefetto Chabrol nel 1809 aveva inviato a Parigi in occasione di un'inchiesta compiuta in tutti i dipartimenti dell'impero napoleonico sullo stato delle fabbriche di ceramiche.
Questi oggetti si trovano oggi nei depositi del Museo Nazionale delle Ceramiche di Sèvres.
I reperti del Circolo degli Artisti entreranno prossimamente al Museo Trucco. Se ne prevede la presentazione durante la Settimana dei Musei, che si svolgerà dal 12 al 19 aprile 1999.