2002 - Le Maschere di Ubaga - Fondazione Museo Giuseppe Mazzotti 1903 Albisola

Search
Vai ai contenuti

Menu principale:

2002 - Le Maschere di Ubaga

IL TORNIO notiziario culturale della ceramica
il Tornio Notiziaruio Culturale della Ceramica

   LE MASCHERE DI UBAGA
   27 aprile - 27 ottobre 2002
   Chiesa della Madonna della Ripa - Pieve di Teco



  Maschere propizie: Baigorix, Penn, Mai Grande, Prometeo, Phoenix, Scadulài, Ubàgu, Spèndega, Aroscia, Casarìx, Abregu, Lènzari, Miarìne, Cartarina, Canavài, Alébion, Breglia, Cibricciu, Pregianca, Checchin de Dané, Dulinda, Maitò.

   Maschere ostili: Murtarése, Laieula, Maurussu, Spàgue, Leasse, Seghìttura, Verniélli, Burdigâ, Giassi, Màima, Luvàja, Braja, Cravâ, Pantài, Angoeu, Vespusùrdu, Gurpàia, Rafé di Conti, Scufé, Scimùn a tutt’e fére, Tusùn Baté, Dussulina.

   Artisti presenti: Nicolò Accame, Stefania Albertini, Roberto Anfossi, Attilio Antibo, Enrico Baj, Giancarlo Bargoni, Albert Barreda, Renata Boero, Alfonso Bonavita, Paolo Bosi, Beatrice Brauen, Jean Budz, Aurelio Caminati, Gianni Caruso, Tommaso Cascella, Pino Castagna, Bruno Ceccobelli, Antonino Cerda, Renato Cerisola, Gilles Chaix, Véronique Champollion, Saverio Chiappalone, Secondo Chiappella, Pier Giorgio Colombara, Jacky Coville, Andrea Crosa, Carla Crosio, Lucio Del Pezzo, Enzo Esposito, Luciano Fiannacca, Loredana Galante, Marco Gastini, Piero Gilardi, Marian Heyerdahl, Paolo Iacchetti, Paolo Icaro, Jean Louis Kolb, Enzo L’Acqua, Jean Claude Lemalin, Adriano Leverone, Giacomo Lusso, Emanuele Luzzati, Luigi Mainolfi, Mauro Malmignati, Claudio Manfredi, Mauro Marcenaro, Charlie Marlò, Plino Martelli, Giovanna Mazzini, Tullio Mazzotti, Carlo Merello, François Michaud, Milena Milani, Paolo Minoli, Giampiero Moioli, Ignazio Moncada, Walter Morando, Patrick Moya, Ugo Nespolo, Gino Peripoli, Stefano Pizzi, Angelo Pretolani, Alberto Pulinetti, Franco Repetto, Juan Segura, Marco, Silombria, Carlo Sipsz, Pino Spagnulo, Jane Speiser, Giovanni Tinti, Luigi Tola, Ernesto Treccani, Alberto Trucco, Luisa Valentini, Anna Valla, Nancy Van Dijk, Rodolfo Vitone.


   Le maschere di Ubaga fra miti antichi e realtà

   di Franco Dante Tiglio


   Le Maschere di Ubaga sono nate da una ricognizione sulle origini della cultura contadina di Ubaga e dell’Alta Valle Arroscia. Nel corso di tale ricerca hanno preso forma memorie, fatti e personaggi, condensati in figure simboliche, la cui interpretazione plastica è stata demandata a 80 Maestri dell’Arte figurativa italiana e straniera contemporanee.
   Ubaga è un antico borgo dell’Alta Valle Arroscia, arroccato sul crinale che dal monte Spèndega scende precipite sul greto del fiume in fondovalle, nel punto in cui il suo corso opera una brusca torsione verso levante, dopo aver lambito l’abitato di Borghetto D’Arroscia.
   Nell’idioma ligure il toponimo pre-latino "ubagu" designava località alpestri fredde, scoscese, selvose, esposte a settentrione e del tutto inospitali. Tali sono le caratteristiche della fiancata orografica destra dell’Arroscia, nei cui recessi sorsero gli insediamenti di Ubaga, Costa di Ubaga, Ubaghetta, Montecalvo e altri modesti nuclei di abitati oggi scomparsi, inghiottiti dalla boscaglia.
   Alle spalle di Ubaga, sulla dorsale divisoria fra la Valle Arroscia e la Val Lerrone, sorge una ben individuata elevazione piramidale, denominata "Castello di Ubaga", poichè sulla sua sommità esisteva un castellaro neolitico ("castellum", nella lingua latina), distrutto dal console romano Appio Claudio nel corso della prima campagna contro i liguri Ingauni (202 a.C.).
   Almeno fino alla metà del XX secolo ad Ubaga si aveva l’impressione di vivere in un ambiente fuori dal tempo, chiuso in se stesso, isolato dal mondo, autosufficiente, custode di usanze e tradizioni le cui remote radici affondavano nel substrato etnico-culturale e di quelle preistoriche tribù liguri di pastori-agricoltori, che, per circa due millenni, avevano dato vita al culto del monte Bego, lasciando sulle levigate rocce, alle falde della montagna sacra, oltre 100.000 incisioni, straordinaria testimonianza della loro cultura e del loro sentimento religioso.
   Era più che evidente come gli usi e costumi dei duri abitanti di Ubaga fossero rimasti sostanzialmente immutati rispetto a quelli dei primi gruppi di liguri che, in età neolitica, avevano cercato rifugio sulle alture ben protette dell’Ubagu, iniziando a colonizzare il selvaggio versante settentrionale della Valle.
   L’asperità dei luoghi, il terreno arido e sassoso, la colossale opera di disboscamento e la immane fatica per strappare esili lingue di terra coltivabile a pendii troppo ripidi avevano forgiato negli abitanti dell’Ubagu, per contrappunto, un temperamento coriaceo, abituato alla fatica e al sacrificio, sprezzante degli agi, tenace, ingegnoso, ma anche chiuso, rigido, caparbio, poco incline ai cambiamenti, profondamente conservatore nelle abitudini e nelle idee: un carattere, insomma, che contribuì a consolidare il loro secolare immobilismo culturale.
   La realtà dell’uomo preistorico era la Natura. Nel rapporto con la Natura egli aveva imparato a conoscere se stesso e a prendere coscienza del senso del divino e della propria identità e dignità.
   Ciò che nella preistoria desta stupore e interesse è proprio l’uomo in sé, come espressione della vera essenza della natura umana; è la sua capacità di affrontare i problemi del l’esistenza e di agire con coerenza per la sua liberazione materiale e spirituale; sono le sue intuizioni a livello sociale, religioso, ecologico; è soprattutto la sua evoluzione da una condizione individuale e materialistica ad una cultura integrata nel senso della collettività di un ambiente naturale impossibile e di garantire la sopravvivenza del gruppo.
   Anche l’uomo contemporaneo vive un cambiamento epocale che ha molte analogie con quello che trasformò il nomade cacciatore paleolitico in un sedentario coltivatore della terra, evento, quest’ultimo, ormai storicizzato come ‘rivoluzione spirituale neolitica", secondo la definizione coniata da Mircea Eliade.
   Per l’uomo di oggi la realtà è diventata talmente complessa e paradossale da fargli smarrire il senso del proprio ruolo e della propria identità. Tanto più rapido è stato il corso del progresso scientifico-tecnologico, tanto più bruscamente egli si è trovato solo e ha sentito crescere la sua angoscia: sempre più assillanti si sono fatti i problemi essenziali della sua presenza nel mondo, sempre più precaria la sua esistenza e più ossessivo l’interrogativo circa la sua stessa sorte. È l’Arte, anzitutto, a percepire la profonda inquietudine dell’uomo moderno.
   Diventa quindi impellente per la creatività artistica l’esigenza di scoprire strati di esperienze originarie e autentiche, nel tentativo di riportare in superficie gli archetipi della natura universale dell’uomo.
   Risalendo alle sorgenti di età primordiali l’Arte scopre il tempo del mito e delle esperienze vitali dell’uomo, allorchè questi beneficiava di energie spirituali integre.
   La forma artistica più diretta per riattualizzare il mito è rappresentata dalla Maschera. Prima ancora di essere un’opera estetica, la Maschera è il tramite per stabilire un contatto con ciò che sfugge: tempo, memorie, vicende; ma anche con l'ignoto, il transumano, il soprannaturale, il mistero.
   Per questa ragione, fra i popoli preistorici e fra quelli primitivi, la Maschera era il mezzo per evocare le forze misteriose della Natura o per esorcizzare l’ira degli dei o gli aspetti terrificanti dell’universo. Quando la Maschera rispecchia la potenza di tali contenuti diventa essa stessa una presenza vibrante di forza comunicativa, che si tinge talvolta di mistico terrore ed entra nel quotidiano con la violenza del fenomeno magico.
   Col linguaggio delle forme e dei colori e con l’ausilio dei simboli, le Maschere di Ubaga evocano immagini di forze cosmiche, ma anche di qualità e debolezze della natura umana, che formalizzano le categorie del "Bene" e del "Male", aventi un'influenza fondamentale sul destino del singolo e della collettività.
   La vocazione primaria della Maschera è l’azione, poichè l’impatto della sua statica assolutezza con lo scenario mobile del quotidiano provoca un potente cortocircuito interiore. Ed infatti, nelle culture primitive, ma anche in quelle classiche, essa ha trovato un costante impiego nel teatro e nelle manifestazioni di carattere ritualistico, sacro o magico. Come simboli di forze naturali, o soprannaturali, le Maschere di Ubaga, sono protagoniste di un Rituale, che si richiama alle festività agresti di mezza estate e alla tradizione dei "falò" di San Giovanni, con i quali il mondo contadino celebrava il risveglio vitale della Natura e di tutti gli esseri viventi.
   Al Rituale, che è una allegoria del mito della "Morte e rinascita della Natura", partecipano 46 Maschere, suddivise in due contrapposti schieramenti comprendenti, l’uno, le forze propizie, l’altro, quelle ostili all’uomo.


   Memoria dell'uomo, futuro dell'arte

   di Roberto Giannotti


   L’affascinante mostra dedicata alle Maschere di Ubaga, frutto di un approfondito lavoro da parte di Franco Dante Tiglio, mi permette di sviluppare alcune riflessioni sull’arte contemporanea e sulla storia della civiltà umana, alla luce di un momento storico nel quale sono le incertezze a prevalere. L'iniziativa, nata da un lungo percorso progettuale, approfonditamente descritta su queste pagine dal curatore stesso, è stata meritoriamente promossa dal Comune di Pieve di Teco, dal Comune di Borghetto di Arroscia e dalla Comunità Montana dell'Alta Valle Arroscia, in collaborazione con Regione Liguria, Provincia di Imperia e Azienda di Promozione Turistica Riviera dei Fiori di Sanremo.
   Nel progetto si intrecciano elementi di recupero culturale, basti pensare all’eccezionale ricerca storica condotta sulla comunità ligure di Ubaga, con spunti fondamentali relativi alle prospettive dell’arte contemporanea, coinvolta in questa operazione di conservazione della memoria attraverso le opere degli 80 artisti chiamati ad interpretare le maschere della tradizione di Ubaga. Proprio la memoria rischia di essere oggi una delle perdite maggiori del patrimonio umano, a tutti i livelli.
   Senza voler demonizzare gli attuali strumenti di comunicazione, non possiamo sottovalutare la saturazione di immagini, contenuti, sollecitazioni visive e sonore alla quale siamo sottoposti quotidianamente.Questa sovrapposizione giornaliera di suoni, colori, parole non sempre importanti e purtroppo uniformanti può creare nuove e sconosciute opportunità quando viene intelligentemente gestita, ma nel caso di un assorbimento passivo toglie spazi fondamentali al pensiero, alla riflessione, ai ricordi, alla creatività di giovani, adulti, anziani. Grazie all’opera di Tiglio è stato possibile recuperare la memoria di Ubaga, renderla futura grazie all’intervento di artisti contemporanei: ma quante Ubaga ci sono o c’erano in Italia, nel Mondo? E’ sconvolgente sapere che ogni anno, nel pianeta, spariscono diverse centinaia di lingue parlate e quando scompare un’idioma vuol dire che la storia plurimillenaria di consuetudini, rituali, segni di una comunità è cancellato per sempre, con i suoi valori, con le sue "maschere".
   E' dunque di basilare importanza riuscire a ripercorrere le strade della memoria di un terra e della sua gente, attraverso nuovi stimoli che la possano rendere ancora attuale per le nuove generazioni. Questo comporta anche un recupero di un diverso rapporto con la natura, che Tiglio ha così bene descritto nella storia di questa comunità ligure attraverso i secoli, dall'identità forte, spiritualmente legata al ciclo delle stagioni e degli astri, resa rude e radicata nel territorio da un ambiente naturale spesso difficile, ma visto sempre con profondo rispetto. Tra le bellissime opere in mostra, vorrei citare la maschera Laieula nell’interpretazione di Attilio Antibo.Laieula è l’immagine del "tempo in stretto contrappunto con l’esistenza, con l’uomo e le metamorfosi della Natura..", un tempo che si adagia con tutto il carico di ricordi, emozioni, dolori e felicità sulla superficie dei materiali naturali impiegati da Antibo che si è perfettamente immedesimato nella magìa ancestrale della maschera. Credo, spero, che per gli artisti invitati da Tiglio quest’esperienza si sia rivelata come un salutare bagno di umiltà necessario in generale a tutta l’arte contemporanea, troppo volte avulsa da ogni realtà, troppo spesso lontana da quanto le sta succedendo intorno e soprattutto dagli "archetipi della natura universale dell’uomo", delineati da Tiglio. Le maschere di Ubaga, con i rituali e e le festività agricole-religiose che si perdono nella notte dei tempi, ci hanno ricordato che sopra le nostre teste, oltre le recensioni di un critico o l’ambito premio, esistono forze cosmiche più grandi di noi, una miriade di stelle che le antiche genti di Ubaga avevano imparato a rispettare nel corso dei millenni e dalle quali ricevevano in cambio il dono della spiritualità e delle emozioni, con una pienezza d’animo in grado di dare un senso al tutto.




 
Torna ai contenuti | Torna al menu